Difficile tirare in ballo le coincidenze quando si parla di David Bowie e non avere invece il sospetto che un progetto come quello di Blackstar, il suo ultimo 25° folgorante album di studio, non fosse stato studiato, realizzato e consegnato al pubblico, con il preciso intento di farne un testamento artistico e musicale, a suggello di una carriera che ha davvero pochi pari nell’Olimpo della storia del rock e della musica contemporanea. Anche le dichiarazioni “a caldo” del producer Tony Visconti, dopo l’improvvisa scomparsa del Duca Bianco, sembrano sostenere questa ipotesi.

Dire che “Blackstar” sia un’opera immediatamente fruibile dalla maggior parte del pubblico bowiano è un azzardo. Nonostante tutto il suo potenziale evocativo e quella sorprendente libertà stilistica che lo pervade, ai più risulterà un album ostico e di non facile ascolto.
Da grande fan della musica e dell’arte di Bowie mi permetto, però, un consiglio prezioso: non ascoltatelo con intenti agiografici e celebrativi e, soprattutto, non fatelo con la presunzione di darne un giudizio immediato. Lasciatelo sedimentare nelle vostre orecchie e nel vostro cuore e poi riascoltatelo ancora ed ancora… ogni volta riuscirete a coglierne elementi nuovi ed inaspettati e a man mano ve ne sentirete sempre più attratti e coinvolti, fino a che non potrete più fare a meno di ammettere che, anche e soprattutto questa volta, il nostro amato Duca Bianco si è mosso nel futuro della musica e nell’universo del suono con la capacità di andare oltre e cogliere ciò che l’intero suo percorso artistico e sonoro ha saputo convogliare in una preziosa alchimia, dove avantgarde e sperimentazione suggellano il testamento di un grande della Musica dei nostri tempi.

Bowie Blackstar

Analizziamo un po’ più in dettaglio i contenuti di questa sua opera che giunge tre anni dopo il R&R di The Next Day in un momento così difficile e sofferto, ma per noi ancora completamente sconosciuto della malattia dell’artista.
Blackstar, l’incredibile opening-brano di oltre undici minuti che Bowie ha voluto come anticipazione dell’album, è quanto di più sintomatico si poteva concepire, non solo del suo progetto di “musica assoluta”, ma anche (e purtroppo ora lo sappiamo!) della sua condizione esistenziale di malato terminale. Assai lontano dal concetto di rock-song è, in realtà, una vera e propria suite, strutturata in due parti. La prima contraddistinta da un’atmosfera cupa e contorta, frastagliata dai synth e dalla batteria elettronica e resa ancora più sofferta (e sofferente) dal tono di voce, insolitamente basso, che usa nel cantato e che il sax del virtuoso Donny Mc Caslin, con i suoi stranianti fraseggi free-jazz, rende ancora più gelida e siderale; la seconda parte è invece più melodica e solare e Bowie l’interpreta con un feeling e una verve emotiva che ci ricordano le sue meravigliose performance della fine degli anni Settanta, ma a tratti anche qualcosa del miglior David Byrne, cosparsa com’è qua e là da cori ed arrangiamenti evocativi alla Dead Can Dance e da un flauto irriverente e vagamente prog.

‘Tis a Pity she was a Whore, sorta di invettiva contro la Seconda Guerra Mondiale, arriva subito dopo a riportarci su binari appena appena più convenzionali e terreni. E’ una traccia dalla ritmica incalzante, con un beat hip-hop teso e vibrante, reso melodico dalla voce calda e sensuale del Duca, che il sassofono però contrappunta in maniera antitetica e non scontata, vicina al miglior Gato Barbieri.
E’ poi la volta di Lazarus, il mio brano preferito, dall’impatto sonoro affascinante e molto coinvolgente emotivamente, che fa parte del soundtrack dell’omonimo musical di grande successo che Bowie ha messo recentemente in scena a off-Broadway. Il Duca lo canta come ci aveva abituato ed il suo incedere sinuoso e notturno, con qualche accenno di chitarra goth, lo rende particolarmente suggestivo e accorato, auspicandoci che già il nostro grande artista stia preparandosi, come Lazzaro, ad una sorta di resurrezione, non solo del corpo, ma anche dello spirito e della mente.
Più ostico e meno comunicativo, il successivo Sue (or in a season of crime), che era già presente nella raccolta Nothing Has Changed. Brano dalle sonorità funky, che la chitarra di Ben Monder stravolge con inserti secchi e distorti, frastagliati e dissonanti, capaci di sovrapporsi alla ritmica incalzante, scandita dal basso di Tim Lefebvre.
Anche Girls Loves Me è una sorta di marcia cupa, sperimentale, quasi avanguardistica. Brano difficile, ipnotico, dall’andamento lento e disperato, sottolineato da una voce distante e sofferente che ci conduce a musicalità dissonanti e quasi cacofoniche.

Blackstar video

A salvarci da questi abissi di disperazione sonora, arrivano però Dollar Days e la conclusiva I Can’t Give Everithing Away che ci riportano alla “forma canzone” e ad una dimensione più pop, in cui la luce e un barlume di speranza fanno ancora capolino e la voce del Duca ci conforta di fronte al dolore della fisicità.
La prima è una splendida ballad in cui il quartetto jazz di Mc Caslin dà il meglio di sé, lasciando spazio alle sonorità struggenti e coinvolgenti del sax tenore che incede verso un finale maestoso. I Can’t Give Everithing Away è melodica, aperta, forse più convenzionale, ma molto “bowiana” e per alcuni istanti ce lo fa sognare in elegantissimo abito da sera, impeccabile e fascinoso, ad improvvisare un musical per angeli e altre creature celesti, in quella sorta di Paradiso della Musica in cui la sua anima sarà già certamente trasmigrata.

Ed è proprio così che vogliamo ricordarcelo, senza tralasciare la sua evoluzione costante nell’arte, nella musica e nel look, unita da quasi cinquantanni di splendide sonorità e grande spettacolo, sempre un passo avanti (talvolta anni luce…) rispetto a tutto, nella musica, nel cinema, nello star-system: Bowie, un Artista tout-court, inarrivabile e insondabile, che ha riempito i nostri cuori e i nostri silenzi con i suoni e le suggestioni dei tempi che ci circondano e che nostro malgrado ci cambiano giorno dopo giorno. Addio Ziggy… addio Major Tom… addio Duca Bianco, la tua “stella nera” e senza “orizzonte degli eventi” ha lasciato per l’ultima volta trasparire la luce della tua musica, a suggello della tua esistenza di “uomo caduto sulla Terra”…



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